Domenica di sole nella nebbia

felice

A due passi dalla città si cela nascosta e accessibile solo a chi la sa cercare una natura imprevista e quasi fuori posto, un intreccio di boschi e parchi che mescolano cura e selvaggio, panchine e fango. Per trovarla e goderne occorre essere dello stato d'animo giusto e saper trasformare una banale domenica di tardo autunno incorniciata dalle nuvole e dalla foschia pervasiva così spesso compagna di avventure nella pianura in una giornata di scoperta e esplorazione senza temere ne gocce di pioggia ne il fango che si impasta sotto le suole.

Armato di un paio di mele per il pranzo che ingrossano le tasche della giacca e una cartina collinare infilata dalla parte opposta del cuore perchè da quella parte c'è un raggio di sole a trasformare l'autunno in primavera sciogliendo il freddo, dissipando la foschia e cacciando via le nuvole. Per andare sul sicuro, appeso al collo sulla schiena anche il cappellone americano adatto a proteggersi dalla pioggia infingarda che può sempre spuntare all'improvviso nonostante il sole e la primavera che più che altro risplende nel cuore.

La domenica mattina, prima che la gente abbia fatto pranzo, attraversare la città ha un sapore quasi operoso, pochi volenterosi e sportivi corridori calpestano l'asfalto cercando di mantere il ritmo mentre mattinieri traslocatori traslano scatoloni e frammenti di mobilio tra camioncini e stanze, entrambi in affitto. L'aria frizzante ancora non convince la maggior parte dei pigri concittadini che tra andare in chiesa e fare jogging scelgono girarsi dall'altra parte e continuare a dormire fino a che la fame o il campionato di calcio non li sospingano dalla posizione orizzontale a quella a elle sulla poltrona del salotto.

In questo quadro raggiungo il mio raggio di sole e insieme attraversiamo veloci i luoghi più deputati allo strapestio della salute in corsa per superare il fiume, barriera naturale alle esplorazioni del cittadino per cui il massimo dell'avventurosità è un pomeriggio su una panchina in vista del parcheggio, e affrontare con allegria e determinazione il nostro percorso che inizia quasi cupo sotto gli alberi fitti del già noto parco Leopardi portandoci in breve su per strade ora asfaltate ora infangate superando torrentelli e scoprendo angoli di autunno tra piccole scivolate solo accennate e cagnoloni che sottolineano il territorio dei loro padroni con sonore abbaiate e vigorose sollevate di zampa dietro robuste cancellate.

Presto il ritmo della chiacchierata e la mia felicità, sufficente per due, di passeggiare in autunno con un raggio di sole vicino ci portano, non senza aver attraversato ambigue schiere di paletti alla memoria delle principali guerre del secolo, fino in cima al Faro della Vittoria ambiguo memento a tante guerre che trovano nella pace l'unica vittoria, sfigata premonizione del ventennio che come i migliori in bocca al lupo non ha condotto il paese alla vittoria ma alla sconfitta; avrebbero dovuto probabilmente dotare detto faro di una sirena, avrebbe guidato meglio gli impotenti marinai nella nebbia della pianura, lontani da naufragi delle dimensioni di una nazione.

Davanti a noi uno spettacolo meraviglioso degno di pittori e poeti ben migliori sotto uno strato di foschia che trasforma la città in una tavolozza neutra su cui dipingere sbiadite montagne immerse tra nuvole acquerellate da mille tonalità di azzurro e grigio che trasmettono un senso di pace impensabile solo poche centinaia di metri più in basso e un senso di freddo umido che si insinua tra la giacca e il sudore della salita. Per prevenire i geloni e, forse chissà, anche qualcos'altro di più poetico, ci avviamo verso la ricerca di un sentiero che ci riporti con i piedi per terra seguendo un percorso diverso, nuovo, ma che non tradisca boschi e fango per anonime striscie di grigio asfalto crepato.

Spesso la strada del ritorno porta con se tristezza per la meta già raggiunta, diventa il simbolo di una realtà che non si può congelare lassù sulla cima ma che deve tornare sul piano della vita quotidiana, oggi invece così non è: la giornata non avanza verso la sera perchè il raggio di sole mi segue sempre, anzi a volte mi conduce per sentieri nuovi e non segnati su alcuna mappa.

Quasi con meraviglia spuntiamo nella città calpestandone contenti una sua estremità chiamata viale Tovez, e da li è un momento premiarci con un meritato the caldo, a casa, felice conclusione piena di promesse per domani.