Il Vecchio 46

in una città

E' una fredda e umida giornata piovosa d'autunno, una di quelle giornate uguali a tante altre che scorrono via tra eventi eterni che passano troppo in fretta. Una giornata quindi in cui la gente è troppo impegnata a guardarsi la punta dei piedi seduta nell'autobus, oppure fuori dal finestrino evitando con complessi mikado di sguardi le altre persone altrettando sfortunate da non trovare un posto a sedere.

Ma oggi l'autobus non è molto pieno, l'orario non è quello giusto, gli studenti sono tutti a sognare libertà tra banchi di scuola, gli impiegati pensano alla prossima pausa caffè mentre sgomitano verso la fine del mese, e le altre categorie proseguono in qualsiasi sia la loro comune occupazione con scarso senso civico e più o meno dedicata dedizione.

Il vecchio 46 occhieggia sonnacchioso al capolinea con la pancia ben aperta ai cristoni dei passeggeri già accomodati al suo interno che patirebbero meno il freddo se fosse chiusa. Il passo dal sonno alla veglia è rapido e si consuma tra ruggiti da capodoglio fuor d'acqua sotto il piede iroso dell'autista che oggi, proprio, tutto ha men che voglia di condurre il suo mezzo balzelloni fermata dopo fermata nel solito giro a singhiozzo sempre fermo tra semafori e fermate, senza nemmeno il gusto di strombazzare a qualche indisciplinato automobilista che cerca di approfittare del vecchio 46.

Con uno sbuffo un po' sfiatato il mezzo richiude la pancia e si scuote dal torpore mentre, su uno dei sedili, un balenottero dagli occhiali intonati al girovita assesta l'augusto posteriore cercando di mantenerlo tutto sopra la superficie dura. Dietro di lui, una quarantenne signorina alla piemontese, dalla forma di topo, storce il naso in un tic proveniente dai tempi in cui certi ragazzi si raddrizzavano col bastone, riferendosi a un sedile dell'altra fila, poco avanti, dove un tatuato ragazzino mostra l'opera d'arte poco sopra la vita sufficentemente bassa dei suoi jeans, assorto nel frastuono di qualche gruppo che oggi riempie le classifiche, domani chissà.

Dietro il giovane taglione, di quelli che preferiscono un giro tra le vetrine di qualche centro commerciale a un quattro altrimenti garantito a scuola, una signora dai capelli il cui colore si può solo immaginare sotto il velo, che siede a testa alta piena di pensieri molto quotidiani, quasi per fare un dispetto al rubicondo sessantenne da cicchetto e bocce che si lancia in una splendida imitazione di una borbottante pentola d'acqua lasciata troppo a lungo sul fuoco riferendosi, confusamente, a "quelli la" tra irosi "una volta io" e "tutti fuori a calci".

I pensieri sobbalzano per simpatia quando il Vecchio 46 bizzoso tenta di ribellarsi, inutilmente, al suo autista che ancora pesta violento sull'acceleratore sicuro di avere la meglio, alla fine, sullo sfiancato diesel costretto a bere olio di colza, come se un estratto vegetale avesse lo stesso gusto di un buon vecchio raffinato petrolifero. Così il carico umano inizia ad arrancare controvoglia verso le proprie insignificanti, se non nel piccolo individuale, mete e a poco servono i colpi di mano del 46 sapientemente recuperati dall'esperienza dell'autista che ora, rappresentato da un avambraccio piegato fuori dal finestrino in una mossa inequivocabile, sta mitragliando pesanti improperi indirizzati a un incauto automobilista che non ha ceduto il passo.

Il Vecchio 46 strizza l'occhiolino al maggiolone appartenente all'incauto automobilista, ma Maggiolone lo ignora voltandosi dall'altra parte, non gli sono mai piaciuti i bellimbusti sovrappeso e vecchiardi come il 46, e poi lei ha già un pensiero per i pistoni, è un BMW nuovo fiammante, cabrio.

Anche le automobili sono classiste.