La casa malinconica

cronache di un altro punto di vista

Avete presente una di quelle giornate autunnali un po' tristi, quando l'ora è appena cambiata e le giornate sembrano accorciarsi all'improvviso trasformando delle mattine buie in serate a loro volta buie? Quando il sole scalda sempre meno e inizia a avere quell'inclinazione nel cielo più tipica dell'inverno che dell'estate.

Proprio una di queste giornate, uguale a tante altre simili che la seguiranno e qualcuna che l'ha già preceduta sul filo da equilibrista del tempo, sta pigramente volgendo alla fine nella città mentre la gente torna a casa affollando strade e autobus. Il piacere dopo l'ultima rampa di scale è il suono della chiave che scorre nella serratura di casa seguito dagli scatti metallici preannuncianti pantofole e divano per il resto della serata, pigro oblio televisivo in attesa del giorno dopo.

L'ingresso-sala è ombreggiato da una lampadina gialla di polvere in un angolo, accesa da una mano a tentoni dietro lo stipite della porta accostata da una scarpa protesa indietro, mentre l'altra mano caricata dei sacchetti della spesa oscilla come una deriva per bilanciare il peso del corpo proteso nei soliti gesti ripetuti ogni sera. Ormai la stagione obbliga a giacche che richiedono rituali di svestitura, solenni ricerche di un appendino caduto per terra al lato della porta mentre la spesa aspetta appoggiata per terra il suo destino incerto tra il frigo, la dispensa o la padella già questa sera. Non è certo facile essere un panetto di burro abbandonato nel sacchetto schiacciato tra un finocchio e un tetrapak di latte, miseramente scordato a sciogliere in attesa di finire a condividere gli ultimi giorni di vita tra le uova e un limone già mezzo grattugiato.

Non basta la lampadina per delineare sufficentemente i contorni della stanza, gli angoli remoti sono scuri e arrotondati dal buio, mentre le poltrone di spalle ingoiano la luce negandola al tappeto di pelo lungo che poco più in là si trasforma in un buco misterioso terreno fertile per immaginare piccoli mari dove si svolgono battaglie navali giocattolo o giungla felpata dove si acquattano gatti che fanno la posta ai piedi degli occupanti seduti sul divano. Ma qui non ci sono ne gatti sornioni appisolati sui termosifoni e nemmeno zampettanti bambinetti che nghengheggiano tirando la tovaglia del tavolo con tutti i piatti sopra per arrivare alla marmellata. La casa è vuota ma non triste, forse un po' malinconica, è calda e accogliente nei colori pastello, è una casa che vorrebbe vedere abbracci e coccole la sera, parole dolci sussurrate all'orecchio e invece si deve accontentare di una frittatina che conta un uovo e un divano a due posti sempre freddo dallo stesso lato.

Più rassegnato l'occupante umano che la casa, perso nell'abbraccio rassicurante e alienante della vita di tutti i giorni che si conta a weekend e non più a giorni, tra una montagna di robe da stirare e le corse in ufficio la mattina, galleggia uniforme in attesa della scintilla, lontana, che trasformerà la sua vita.