La vittoria

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Vittoria, che sensazione strana. Ogni vittoria, per essere veramernte tale, deve essere combattuta, deve portare dentro di se una storia di impegno, di sacrifici, di ostacoli da superare e di lezioni da imparare. Non può esserci vittora che si chiami con questo nome se, nel percorso di vita che ci porta a raggiungerla, non abbiamo dovuto lottare, impegnandoci a fondo, contro ostacoli che hanno richiesto sacrifici per essere vinti.

In altre parole, una vittoria presuppone di focalizzare le proprie energie nel quotidiano dettaglio per imparare a superare, facendo del proprio meglio, i propri limiti. Certo, in teoria lo scopo è sconfiggere un avvrsario, che sia una persona, una malattia o più in generale un ostacolo di qualsiasi natura. In realtà, però, in modo più o meno inconsapevole il vero scopo è quello di crescere, di imparare: a sfidare ciò che ci pare invincibile, ad apprendere nuove cose, a scoprire nuvi modi per trasformare il mondo che ci circonda (a qualsaisi livello, dalla politica delle relazioni umane al dettaglio del quotidiano) agendo nel modo opportuno. Ecco, quindi, che lo scopo ricercato nella vittoria diventa solamente un mezzo per raggiungere, spesso involontari, obiettivi di carattere ben più importanti, personali.

In quest'ottica, una sconfitta o una vittoria si equivalgono. Forse, addirittura, una sconfitta acquisisce maggior valore e importanza di una. Tuttavia, dopo un po', le sconfitte tendono tutte quante ad assomigliarsi per cui è meglio, in definitiva, puntare sulle vittorie. E poi, va bene la retorica, ma le sconfitte bruciano l'orgoglio.

Ma basta sproloqiuare, basta cianciare senza troppo costrutto, basta annoiare l'incauto lettore. L'incauto lettore, mi viene ricordato da più fonti, vuole azione, vuole fatti, vuole rcconti di vicende, non sproloqui di aria fritta incartata in massime filosofiche da pochi soldi.

Quindi, passiamo oltre descrivendo come un intrepido gruppo di persone sia stato catapultato, suo malgrado, ormai più di un anno fa (e quasi due, per alcuni) dalla normale tranquillità delle proprie vite nel mezzo di un'avventura all'americana condita abbondantemente dalla coraggiosa disorganizzazione, dal coerente caos e dalla improvvisazione competente degli italiani.

E' inutile citare o ricordare i singoli protagonisti, perchè sono troppi, e hanno ricoperto troppi ruoli che finirebbero solo per confondere il lettore senza dare alcun velore aggiunto. Ci sono state persone coinvolte dall'inizio, altre hanno smesso di esserlo a metà, alcune lo sono state solo alla fine. Indipendentemente da questo, tutti hanno impegnato risorse importanti e certo non solo nell'ambito lavorativo ma soprattutto nella sfera personale, che è quella in cui è sempre doloroso fare sacrifici. Alcuni personaggi sono stati particolarmente antipatici o fastidiosi, altri particolarmente preziosi per il morale, per le competenze, o semplicemente per l'impegno nei confrontio degli altri. Ciascuno ha avuto un ruolo, nessuno secondario, molti da protagonista.

Anche la trama, a dire il vero, non offre molti appigli per salvarsi dalle critiche negative del lettore:. Non ci sono colpi di scena, non ci sono misteri da svelare, tutto si svolge tra le squallide quattro mura di cubicoli all'americana o nei sovraffollati open-space di uffici italiani. La telecamera, quasi sempre statica, è puntata dietro un monitor di computer oppure inquadra, da un angolo, sale riunioni in cui italiani e americani si lanciano in tentativi di comunicazione più o meno riusciti, spesso piuttosto comici. Al massimo, si può pensare a una sit-com tipo camera caffé, solo un poco più surreale.

L'ambientazione, ancora peggio, spazia dalle inutili dstese del Texas alle tangenziali di una grossa metropoli americana dove la migliore attrazione è fare shopping. Poche variazioni sul tema vedono americani in visita in Italia o rapide puntate in posti meno squallidi. In ogni caso troppo tempo, in tutta la vicenda, viene speso seduti su voli intercontinentali.

Certo scendere nel dettaglio delle vicende sarebbe ancora più noioso, vista l'attività principalmente da ingegneri, mentre le parti più piccanti, legate alle relazioni tra le persone, sono troppo delicate da essere rese pubbliche. In sintesi tutta l'azione si può ridurre a quanto segue (si adotta, volutamente, uno stile un po' più napoletano): Ricevemmo il requisito del cliente. Ci perdemmo a capire cosa dovessimo rispondere. Qualcuno decidette tempi, risorse e modalità del nostro operato. Partimmo armi e bagagli per cercare di rendere realtà ciò che spacciammo al cliente. Lottammo come anti-eroi contro mulini a vento per mettere le basi di ciò che dovremmo fare dopo il giorno della vittoria. Vincemmo. Ora abbiamo paura del futuro.

Quello che le cronahce non possono raccontare sono i sacrifici, le rinuncie, i rischi a cui ciascuo dei personaggi ha sottoposto la propria vita, e la vita dei propri cari. Il peso della lontananza tra due persone che si vogliono bene, il rischio di mettere in gioco il futuro stesso della prpria famiglia, l'amaro dolore di sentirsi dire "papà, non ti voglio parlare al telefono perchè tanto non ci sei mai" o ancora dalla persona amata "fai che non tornare più, tanto cosa cambia". Così come riuscire a trovare il coraggio per dire a chi ci vuole bene che, ancora una volta, dovremo tradire le promesse fatte, che ancora una volta non potremo starle a fianco nel momento del bisogno, o semplicemente non ci saremo per un abbraccio la notte durante un incubo.

In conclusione, abbiamo vinto. Abbiamo imparato un sacco di lezioni, da cui non sapremo prendere spunto per non ripetere gli stessi errori in futuro, e abbiamo messo in gioco molto delle nostre vite personali. Perchè, allora, questa vittoria non ha il sapore atteso? Perchè la vittoria, gravida dei presupposti di nuovi sacrifici e nuovi ostacoli che comporta, non ci riempie della presunta gioia?

Abbiamo partecipato alla gara, e l'abbiamo vinta. Il nostro aereo è stato preferito alla concorrenza, grazie allo sforzo congiunto di tutti e all'impegno di quasi tutti. Abbiamo portato a casa un contratto del valore di un paio di miliardi di dollari, abbiamo portato a casa lavoro per parecchi anni, abbiamo ricevuto le parole di ringraziamento dei nostri capi.

Eppure, forse, la bilancia ancora pende dalla parte sbagliata.