Georgia roots & music festival

Hiawasse, Georgia

Allegri e spensierati, i quattro italiani si calano il cappellino sulla testa e si imbarcano per il Georgia Mountain roots and music festival, Hiawassee, Georgia. Il sabato mattina, alla guida di un mezzo di trasporto adeguato alle distanze da coprire, Papà Stefano, Zia Wilma, Efren e il neonominato cugino Maurizio affrontano la lunga e tortuosa strada che li porterà a superare montagne, attraversare laghi, risalire chine e ridiscendere colli, vincere l'asfalto per giungere alla Hiawassee (pron. àiuassi) Montain Fair, evento musicale bluegrass dell'anno in quel ramo di appalachi che circondano il nord della Georgia come una corona di poco pregio, causa la loro scarsa elevazione.

La strada porta i quatrro italiani, rinfrancati e ringiovaniti nell'età media dal giovane Efren, a lasciarsi alle spalle la metropoli di Atlanta risalendo vero nord sulla HW-400 imboccando piccole stradine a quattro corsie, tortuosi tornanti da prendere a non più dei settanta all'ora, e ripide salite montane che in quasi quaranta chilometri guadagnano e poi perdono ben 700 metri di quota. In fondo bisogna ricordare che qui per montagna intendono 1500 metri, e che il concetto stesso di strada alpina occorre adattarlo al solito stile esagerato degli americani.

Hiawassee, nome dalle radici inequivocabilmente nativo-americane, è una ridente cittadina in mezzo a una valle verde e circondata (anche questo riescono a fare in america) da un lago in parte artificiale, in parte naturale. Non c'è, ad Hiawassee, più alcuna traccia dei nativi che hanno dato nome al luogo. Giusto un teepee in plastica per bambini in vendita rpesso un locale country store lungo la strada ci fa ricordare di loro. Ma questa è l'america, e la storia non è di casa. Figuriamoci la storia di una qualche popolazione che accampava chissà quali diritti sul territorio di zio Sam.

Localiziamo, inusitatamente in fretta, l'area della Mountain Fair e lì parcheggiamo, scarichiamo le nostre attrezzature passando dall'auto al triciclo, benchè fuoristrada, concedendoci un lauto banchetto a base di chicken burger con patatine fritte e cocacola, giusto per sentirci immediatamente più parte della abbondante (non in senso quantitativo) realtà umana che ci circonda. Ma siccome il meglio deve ancora iniziare, ci rechiamo poco più in alto sul cocuzzolo vistalago per accedere alla Anderson Music Hall, enorme sala con l'aria condizionata sparata e un grosso palco dove lternativamente i vari gruppi di musica bluegrass fanno piangere le loro chitarre e strimpellano i loro violini. Intorno al palco, sedie e panche nel classico stille rustico di questo genere di eventi. All'ingresso, bancarelle che vendono CD magliette e corsi per imparare a suonare in cinque minuti.

Il pubblico, benchè meno colorato di altri simili eventi a cui abbiamo assistito in passato, conta il suo degno numero di salopette jeans blu, camice a fiori improbabilissime, pance che fanno regione e età medie bilanciate, sblanciatamente, tra i troppi e i troppo pochi anni. Donnone e omoni, campagnoli puri e campagnoli inurbati, tanti cappellini da baseball nell'ormai tipico stile locale ma relativamente pochi cappelloni a tesa larga.

Vale la pena di spendere qualche parola sul Bluegrass come stile musicale, poichè non essendo molto diffuso da noi nella vechia (e cara, in molti sensi) Europa, può essere difficile per l'occasionale lettore di questo blog (non essendocene, infatti più che uno) calarsi appieno nell'ambiente che faticosamente qui cerco di descrivere. Partiamo dal nome, cercando però di annoiare il meno possibile il lettore già stufo che continua a leggere solo per cortesia o per abitudine: "blue" come tristezza (avete presente il blues...) e "grass" come erba, per sottolineare le radici campagnole e montanare del genere tipico di Tennessee, Georgia, Alabama e altri stati altrettanto depressi e poveri. Banjo, mandolino, chitarra, basso e dobro gli strumenti. Tutte corde, tutti "pizzicati" piuttosto che suonati in senso tradizionale, affiancati da voci morbidamente "allungate" su vocali larghissime in pieno contrasto con il ritmo veloce e dinamico imposto dagli strumenti. Accordi semplici, estrema attenzione al virtuosismo individuale, grande abilità tecnica e una spiccata propensione all'intrattenimento del pubblico rendono questi eventi dei veri e propri "festival" dove il pubblico si appassiona e partecipa, dal basso, allo show sul palco.

Il bluegrass è una musica tradizionale, come quella degli "Irons in the fire", dalla dimensione locale degli "Highway 76" (Hiawassee si trova lungo la HW-76, infatti) alla dimensione della fama nazionale dei "Cherryholmes", dalla raffinata polivalenza dei "Blue Ridge Grass" all'energia giovane e moderna delle Lovell Sisters. Senza dimenticare l'eccezionale bravura vocale di "Doyle Lawson & Quicksilver" e la pulizia, la perfezione dei "Nashville bluegrass band".

Seguendo i ritmi forzati di un poemriggio scandito da un'ora di performance e dieci minuti di cambio stage tra una banda e l'altra, i nostri quattro italiani scorrazzano tra le panche della Anderson Music Hall, e il laghetto appena dietro quest'ultima quando il freddo della troppa aria condizionata, o l'insaziabile desiderio di consumare energie del piccolo Efren, non li spinge a uscire. Quanto al freddo, in fondo si sopporta abbastanza, ma il piccolo invece non ne vuole sapere. E forse, ha ragione lui. Perchè rimanere chiusi in un salone buio e rumoroso quando fuori c'è sole, caldo (quasi fin troppo) e uno splendido lago dove cercare di buttarsi appena babbo non vede?

L'immagine della giornata, papà Stefano che con un'espressione un po' branzina ma tanto dolce, stringe al petto il piccolo Efren che, cotto dal sonno, crolla nel mondo dei sogni, Nel occhi del papà, la felicità che si concretizza in una gioia pacifica, culmine di soddisfazione nel suo pupetto abbracciato.

Il suono della giornata, l'eccitato mix tra mandolino e banjo così tipico del bluegrass, che ci accompagna nelle orecchie fino al rientro nella metropoli.

Il sapore della giornata, quello delle "fried peanuts" (nocicoline americane fritte) in vendita a un dollaro al bancone degli hotdog.

L'inconveniente della giornata, un'emergenza del tipo ripetutamente impellente del neocugino che ci ha portato a inattese soste liberatorie in aeroporto, sulla via del ritorno.