La memoria

La memoria, qualche volta, gioca strani scherzi. La memoria proietta la realtà, la costruisce, la modifica, la rende più reale, o frutto della fantasia. La realtà stessa esiste perchè esiste la memoria.

Quando guardiamo una sedia non è la realtà di quella sedia, che percepiamo. Non sono il legno delle gambe o la paglia del ripiano, che comunque arrivano fino ai nostri sensi, ma è la memoria che quella sedia risveglia in noi a renderla reale, concreta, esistente nel nostro mondo.

E' l'immagine che ne proiettiamo, di una cena come tante, tutte simili eppure ciascuna reale a se stante, mescolate nella memoria anche loro fino ad astrarsi dalla realtà semplice per acquisire un posto unico nella realtà, quella vera, quella dalla memoria. Così la sedia diventa un tassello della cena nella memoria, prende vita nel ricordo reale di una cena speciale.

La cena, sintesi di tante simili di cui raccoglie i dettagli fino a comporre quella perfetta per eccellenza, prende vita una di quelle sere che nella cittadona del profondo nord sono presto buie, in una via di mezzo tra l'autunno e l'inverno, quando sulle spalle si tiene già una giacca ma non ancora i pesanti giacconi antighiaccia del mattino.

La scena si apre, dopo la citofonata di rito e una breve risalita in ascensore, con una porta accostata che da su un piccolo ingressino nella penombra scostata solo leggermente dalla luce giallina che esonda dalla cornice della porta, aperta, della cucina subito di fronte. I rumori di pentole mestoli e piatti si sostituiscono allo sferragiare sordo della porta dell'ascensore, sono leggeri e solitari, non quelli fragorosi e violenti delle grandi tavolate ma invece quelli pacati e attenti delle cene familiari e raccolte, come sottofondo a un paio di voci: una nascosta dietro la porta socchiusa e l'altra tutta a sinistra coperta dal muro dell'ingresso così che entrambe rimbalzino un paio di volte soffuse prima di giungere fino alla porta di casa.

Tutto l'insieme resta confuso, mentre un rapido cenno di saluto viene gettato all'interno, e meccanicamente l'ospite si sposta con la sicurezza della familiarità a tentoni nel buio dell'ingresso e del salotto alla ricerca della sedia, necessario biglietto d'ingresso per la cucina inondata di luce ma carente della terza sedia, indispensabile oggetto per ricomporre nell'intero la famiglia: tre persone, tre generazioni, tre sedie. Una cena, una alla settimana, sempre troppo tempo da ritagliare nelle serate sempre più buie e corte, sempre troppo poco tempo per non rimpiangerlo dopo quando, come tutte le cose terrene, cessa di essere reale in se per condensarsi solo più nella memoria, e nelle lacrime.

La nonna, a capo tavola, impegnata a parlare e a governare lo svolgimento della cena. Il babbo, di fronte, impegnato a sfuggire agli eccessi di burro della nonna e, al tempo stesso, non soffocare nel fiume di parole. Dall'altro capo, il muro, sincero e silenzioso, e sull'ultimo lato il nipote, che divertito fa surf sulle ondate di parole degli altri estremi della famiglia, bilanciandosi sulla superficie e filtrando i turbinii nascosti sotto.

Ci sono, infatti, molti diversi momenti in cui prendere ciascuno dei componenti della famiglia. In particolare, la nonna, augusta ciarliera oscillante tra il piemontese (rigorosamente in presenza del babbo) e l'italiano (quando sola in presenza del nipote che, si sa, il dialetto non lo mastica a sufficenza) che basta appena stuzzicare per spingerla a raccontare le meraviglie incredibili della sua vita i pettegolezzi imbarazzanti sulla vita del babbo,rigorosamente in sua assenza) da giovane e da piccolo, accolte con altrettanto interesse dalle orecchie del nipote.

Per la nonna, il mondo si divide in due parti. Da un lato i matti, quelli che usano il fax, che si fidano delle carte di credito e vanno in giro conciati con le mutande di fuori. Dall'altro, le brave ragazze di cui c'è sempre più scarsità, le verità inoppugnabili della televisione, e poi soprattutto un bicchiere di vino, quello buono però, al giorno che leva il medico di torno.

Buona notte, nonna, buon riposo. La tua immagine nel mio cuore non sarà certo quella delle ultime ore, ma quella di sempre: energica, decisa, e un po', perdonami, logorroica. Come d'altronde, fino a soli pochissimi mesi fa.