L'american-one a Torino

Ried

Ried è la perfetta incarnazione dello stereotipo americano: una specie di bisonte dai polpacci grossi, le ossa spesse, il viso squadrato e l'elasticità mentale del cemento tutto condito da una voce tuonante tipo tromba con due soli livelli, alto e troppo alto. Pantaloncino corto, scarpe da ginnastica superammortizzate per sostenere la sua andatura con le ginocchia oscillanti e i gomiti all'unisono, atteggiamento da "ok, raga, troppo figo" tutto il tempo.

Ora, per inquadrare meglio il personaggio, proviamo a immaginarlo in alcune situazioni tipiche, alcune posture caratteristiche, proviamo cioè a figurarci alcune immagini che posso ritrarlo a cavallo tra l'ordinarietà e la straordinarietà di trovarsi in una nazione così strana, e un po' retrogada, come l'Italia.

Centriamoci quindi una via trafficata della grande (ma non poi così tanto) città del paludoso nord. Non soffermiamoci tanto sulle auto in doppia fila, sul cielo azzurro-grigino tendente allo scuro di una sera d'avanzata primavera, nemmeno sulle facciate un po' tristi dei palazzoni (cinque, dieci piani) di questa zona un po' periferica ma non troppo. Piuttosto, stringiamo velocemente il campo su uno dei raggruppamenti di cassonetti della spazzatura che punteggiano ogni qualche caseggiato le auto parcheggiate: stretti e alti quelli dell'umido, grossi e verdi quelli della monnezza generica, a campana e blu quelli per il vetro. Presenza triste ma necessaria, penserete, meno consistente d'inverno e più pervasiva nelle estati troppo calde, tuttavia sempre inevitabile. Ecco, all'improvviso, che se ci spostiamo un poco più di lato, in modo da inquadrare non solo il cassonetto verde ma anche, di fianco, il parallelepipedo dell'umido con dietro un angolo di marciapiede potremo scorgere il nostro soggetto tutto intento a fissare lo schermo del suo portatile, che ha appoggiato proprio sull'umido, alla disperata ricerca di un flebile segnale WiFi per navigare in internet un poco a sbafo, un poco in barba all'hotel che chiede 5 euro la mezzora. Che paese, questo, quando a casa potrebbe recarsi nel parcheggio di qualsiasi albergo anche di infima categoria per trovare un buon segnale e surfare nelle meraviglie della rete tutto il giorno. Gratis.

Cambiamo ora radicalmente visione, riportiamoci nel più familiare ambito lavorativo dove, dietro un armadio bianco, possiamo scorgere il nostro soggetto con i due translatlantici scamosciati ancorati alle caviglie appoggiati sull'angolo della scrivania, il corpo stravaccato proteso all'indietro, le mani impegnate a dar sollazzo in un cavalleresco massaggio scrotale, la testa un po' insaccata mentre guarda lo schermo del portatile. L'imbarazzo generale scatenato da questa visione poco idilliaca e molto prosaica unito alla scarsa propensione dei torinesi (d'adozione o autoctoni) impedisce particolari osservazioni dirette, tuttavia non ci stupirebbe, a questo punto, nemmeno un eventuale fragorosa emissione di gas, o una raschiante scatarrata.

Proviamo ancora a immaginarcelo felicemente seduto a mensa, dietro un piatto unico che rachiude, mescolati, primo secondo e contorno. Riso sagacemente unito al brasato con carote grattuggiate, giogisamente zappettato dalla sua forchetta mentre camion carichi di questo gustosissimo mix viaggiano a piena velocità sull'autostrada della sua bocca, boccone dopo boccone, giusto per mantenerla piena a un livello sufficente da biascicare a sufficenza le parole senza sputacchiare particolato quasi masticato di cibo vario.

Benvenuto, Ried, a Torino!