Grecia: Samotracia (1)

ritorno alla civiltà

Il rientro nel mondo civile è avvenuto, catarticamente, con un assurdo viaggio notturno in treno: partenza alle 20.00 con rischio bomba dovuto a una valigia abbandonata da una passeggera nel nostro scompartimento, poi la sequenza delle frontiere, prima quella turca alle 00.20, poi quella greca verso le 01.00 (il poliziotto: "passaporti" noi: "ma siamo italiani", e lui: "e a me che me ne frega? passaporti!"). Infine, veniamo scaricati molto poco cerimoniosamente alle 04.30 nel mezzo di un binario deserto e sperduto un buon chilometro prima della stazione di Alexandropulis, nostra meta.

Finiamo per trascorrere ciò che manca al giorno rintanandoci in una chiesetta ortodossa minuscola provvidenzialmente aperta e illuminata, così tra le icone e i santini che ci tenevano d'occhio dalle pareti abbiamo, inutilmente, tantato di schiacciare pisolini e, con più successo, un ragnazzo enorme.

I segni della civiltà emergono ovunque. Donne che gestiscono negozi, le persone che si rivolgono direttamente anche alla mia bella e non solo sempre a me. Coppiette che si baciano per strada.

Siamo stanchi, comunque, e la notte in bianco unitamente alla tensione delle scorse giornate ha lasciato il segno. Passiamo la giornata a schiacciare pisolini sulle varie spiagge assolate e deserte, mescolandoli a bagni rinfrescanti. Infatti ci siamo diretti all'isola di Samotracia su consiglio sia della nostra fedele guida che di una collega di lavoro indigena, di nome Olga, per trascorrervi qualche giorno di mare e sole: il periodo, ormai settembre, è molto propizio così non appena scendiamo dall'aliscafo (lungo il tragitto ci saluta un delfino!) troviamo subito una spaziosa stanza con bagno poco fuori del centro abitato per la ridicola somma di 25 euro al giorno. Certo le rifiniture hanno l'aria di essere in corso d'opera, ma è tranquillo, immerso nel verde e pulito.

L'isola è stupenda. Nel pomeriggio, dopo un dovuto pisolo, ci siamo spinti per diversi chilometri a piedi lungo la costa alla ricerca di una spiaggetta isolata, compito banale in realtà visto che in giro non c'è praticamente nessuno, dove approfittare del mare azzurrissimo e trasparente per quella serie di bagni e pisolini di cui sopra. Durante uno di questi, sorpresa, apro gli occhi e fisso una pecora: siamo stati circondati nel sonno da un gregge che sta migrando verso pascoli più occidentali superandoci un po' spaventate, schivandoci all'ultimo. Abbiamo un po' di paura di venir schiacciati.

Rientriamo alla base, il paesello di Kamariòtisa, con un taxi fermato per strada che ci prende la mostruosa cifra di 3 euro. La cena, ottima abbondante ed economica, ci vede spazzolare due piattoni enormi di sardine alla griglia, freschissime e gustose. Teste e code finiscono a una combricola di tre micini che ci girano intorno, lanciate in aria di solito non toccano nemmeno terra, finiscono direttamente in gola alle bestiole affamate e miagolanti.

Devo ringraziare pubblicamente Testina, il collega dell'anno scorso a Marietta, perchè è merito suo se ho imparato come mangiare il pesce. Pensa te!