Zaparosce e Crimea

fino a Sebastopoli

Decidiamo di alzarci presto la mattina, visto che abbiamo un treno mattiniero e vogliamo approfittare di un'oretta di luce prima di tornare in stazione: palazzoni non troppo alti (8/10 piani) immersi nel verde e fabbriche dalle ciminiere alte e sottili che giustificano il puzzo dell'aria. Girovaghiamo senza meta per le viuzze dietro l'hotel tra le poche auto in movimento e qualche passante che si affretta a testa bassa verso il suo luogo di lavoro, facilmente immaginabile come monotono e grigio. Intorno a noi molto verde, incolto, e palazzi un po' decrepiti. Ogni tanto uno scheletro in costruzione mai terminato, anche questo grigio e alto una decina di piani.

Ripartiamo subito dopo colazione verso la stazione salendo su un filobus che percorre la Lenina dove scopriamo (a gesti, qualche parola di Russo che ormai abbiamo imparato e forse tedesco) che è il mezzo sbagliato. Per fortuna troviamo una signora molto dolce e disponibile che, ovviamente dopo una animata e incomprensibile discussione con gli altri passeggeri dello scalcinatissimo e sobbalzante mezzo, ci fa scendere e ci accompagna a una altra fermata per guardarci salire sul tram giusto. La guardiamo allontanarsi, ferma alla palina, mentre continua a farci ciao-ciao con la mano, gentile e contenta.

Il treno, come al solito, ci riserva una sopresa: proviene da Mosca, diretto e notturno, per cui troviamo posto tra le cuccette in mezzo alla gente che un po' si sta svegliando e per il resto dorme ancora di gusto dopo quasi 17 ore di viaggio, visto che l'arrivo è previsto per le 18.30 e non sono ancora nemmeno le 9.00. Alla stazione la solita provodnista ci fa salire in un vagone pieno di madame grosse come madie in vestaglia, famigliole dirette al mare e omoni rubicondi. Molto russi, tutti quanti. Il viaggio sarà sufficientemente lungo soprattutto visto che i finestrini, come è abitudine su questi convogli d'altri tempi, non si aprono e ben presto la temperatura supererà i 30 gradi. Passa a più riprese gente che offre di cambiare rubli in grivnie, cambiavalute illegali a cui non ha proprio senso dare retta visto che tra bancomat e sportelli di cambio ufficiali procurarsi soldi proprio non è difficile. Una tipa che vende gelati ammassati in una sporta di plastica e non si spiega come facciano a non sciogliersi o forse si spiega perchè nessuno di compri; la solita provodnista che ci vuole vendere tazze di te e caffè caldi, questi pittoreschi treni sono uno spettacolo a ogni viaggio mentre una famigliola russa non lontana acquista l'acqua calda per farsi due uova sode, improvvisa la colazione. Un altro tizio stappa e beve una birra che sarà stata calda almeno per le scorse 15 ore e mezza.

La fermata successiva salgono due russi, una coppia: Victor e Nadiuska che, dopo pochi minuti di conoscenza reciproca (hainoi, ancora non sappiamo come approcciare i russi!) hanno dato lo stappo ai fiumi dell'alcol: quattro birre da 66cl (lei) un litro di rosso e uno di bianco lui e, purtroppo, anche io forzatamente. Cercare di scampare alle profferte di bevute in socializzante compagnia dei russi è praticamente impossibile salvo apporre impedimenti di carattere salutare che comunque sono concessi solo alle donne. Le offerte tuttavia non si fermano qui: ci rimpinzano di pesce secco salato comprato lungo i binari del treno, ci regalano le mele, ci offrono i cetrioli, ci regalano addirittura una loro fotografia e un cestino di vimini comperato in un mercatino sul mare d'Azov!

Lei è un'adorabile donna di mezza età che mastica solo bocconcini di tedesco ma con cui ci si capisce facilmente e passa il tempo a tamponare il fiume di sudore che cola dalle tempie e spalle del marito, lui un ometto poco più vecchio ex capo radiotelegrafista per 28 anni sulle navi mercantili biascica un inglese scadente per cui si capisce meglio, ma molto, la moglie. Sembrano usciti da qualche film, ci hanno offerto praticamente tutto quello che avevano con loro e con tutto il cuore facendo sinceri sforzi enormi per comunicare con una espansività tale che a momenti ha generato sguardi ilari dai nostri altri compagni di vagone tra cui un signore-montagna e la sua tredicenne figlia che, in seguito, scopriremo che parla un buon inglese. Tra un pesce secco e l'altro gli argomenti sono presto degenerati su una teoria molto assurda per cui il russo fosse la lingua più antica del mondo e addirittura il runico fosse russo, stessa scrittura grammatica e sintassi, proprio, da crederci.

Scollarceli non sarebbe stato facile tuttavia all'improvviso, così come sono apparsi, sono spariti nel nulla facendosi aprire le porte del vagone in mezzo alla campagna durante una delle frequenti e inspiegabili soste. Come una apparizione surreale e Kafkiana immagine del viaggio in treno in Russia.

Dopo essere rimasti finalmente soli attaccano bottone gli altri compagni di viaggio: il papà-montagna Alexander e la figlioletta di tredici anni di cui, purtroppo, non ricordo il nome. I genitori medici, la figlia una appassioanta studentessa di inglese (e si vede dagli ottimi risultati) che spera di poter così viaggiare molto. Ai nostri complimenti per la lingua verso la figlia il padre si illumina come un faro mostrando un'altra delle caratteristiche che stiamo notando sempre più spesso in loco: la conoscenza passiva delle lingue. Magari non la parlano ma facile che ti capiscano se la parli tu. Per fortuna loro non hanno pesce secco da offrirci in cambio e sono molto gentili oltre che curiosi.

L'arrivo in Crimea, dopo aver costeggiato per ore l'immenso Dniepr con le sue piane alluvionali di cui non si vede nemmeno l'altra sponda, dopo le lunghissime distese di sale bianco sul mare d'Azov prima di Simferopoli, ci regala riposanti paesaggi collinari coperti di arbusti molto mediterranei, anche nell'odore, insomma una natura a noi più vicina e paesaggi meno sterminati.

Arrivati a Sebastopoli ridiscendiamo tutta la lunga via Lenina, questa volta dalle dimensioni e dall'aspetto molto più umano: quello di una città di mare. Alloggiamo all'hotel Sebastopoli che per meno di 30 euro ci da una doppia con bagno ma senza doccia (in comune): un misto di standard occidentale e stile sovietico che emerge dai apvimenti in legno rovinato e dalle docce sul filo dell'indecente, ma pulite.