Verso Lvov

attraversando i Carpazi

Dopo aver trascorso buona parte della notte fermi a scomporre e ricomporre il treno come fosse di lego, più stazionari che in movimento per giustificare il nome di treno-lumaca, pensavamo di proseguire ora più spediti una volta entrati in Ucraina. Tuttavia da quando abbiamo varcato la frontiera (attraverso il paesino di Tchop) il treno ha rallentato ulteriormente e ora, benché le lunghe soste siano finite da un pezzo, viaggiamo poco più che a passo d'uomo. L'ultima e incredibile sosta è stata subito dopo la frontiera quando, per adattare il passo del treno ai binari ucraini che sono più stretti di quelli europei, hanno sollevato la carrozza con martinetti idraulici e sostituito il carrello con uno di dimensione adeguata.

Tra questa operazione, la dogana e il fuso orario abbiamo trascorso tempo a sufficienza per conoscere un compagno di viaggio francese, Roman, che grosso modo seguirà il nostro stesso itinerario fino a Odessa viaggiando da solo con i soliti zainoni dei backpackers mentre noi preferiamo le comode rotelle dei nostri trolley. Le operazioni doganali sono state rapide: è stato sufficiente far capire che siamo italiani e non parliamo una virgola di russo per sciogliere in un attimo tutti i nodi burocratici. Niente dichiarazia doganale, nessuna domanda se non "turisti?". Tuttavia che dire, l'impatto con una cultura ex-sovietica di è sentito a partire dalle divise verdi un po' retrò delle poliziotte doganali passando per il militare con il cane che perlustrava tutti gli angoli dove potrebbe nascondersi qualcuno alla signora della dogana, in divisa, materna e abbondante che ricorda alcune descrizioni di Primo Levi in La Tregua.

Non abbiamo problemi di sorta, dunque, e il nostro viaggio riprende lento lento attraverso l'angolo occidentale del paese. Campagna, boschi, prati e casupole. Per ore e ore il nostro viaggio prosegue immerso in un paesaggio molto bucolico con rari paeselli dalle casette quadrate con il tetto grosso, strade sempre sterrate rese piste fangose dalla pioggia e dischi bianchi delle parabole satellitari, testimoni di una civiltà televisiva ormai pervasiva. Lungo tutta la campagna covoni di paglia a forma di cono costruiti attorno a pali di legno alti alti piantati in terra.

Una capra, selvatica, guarda il treno sfilare comodamente seduta sul binario di fianco, un po' come la gente dei villaggi passa la domenica seduta sui prati a prendere il sole e osservare la civiltà rotolare vicina sui binari. Solo dopo molte ore capitiamo in un paese abbastanza grosso da avere un pezzo di strada asfaltato: non si vede molta gente in giro, per lo più ragazzi che bevono o giocano a carte sui prati o signore avvolte nei tipici scialli scuri con il velo ortodosso sui capelli, che passeggiano. Il treno prosegue, sempre lento, tra casette in legno e mattoni molto colorate e anche nei paesi, ora più frequenti, con una strada asfaltata questa collega solo la stazione con il centro e le abitazioni intorno sono raggiunte solo da piste fangose.

Seduto con una bella folletta in grembo mi godo le ultime ore di questo incredibile viaggio in treno dalla "civiltà" occidentale fino in un mondo vicino ma così diverso. Ogni stazione ha il suo capostazione con il cappello rosso e la paletta: rosso alt e bianco proseguire.

Lvov si fa sempre più vicina.