Addio Odessa, Ucraina

lasciamo il paese

Ore sei del mattino. Odessa è una città sonnolenta e scrostata, abitata a ogni angolo da cani randagi di tutte le taglie, razze e miscugli possibili: accoccolati sul piazzale della stazione, acciambellati agli angoli ancora scuri delle strade non illuminate o scodinzolanti al seguito dell'occasionale raro passante, con scarse probabilità di rimediare una colazione di qualche genere. Spesso li si vede riuniti in combricole di quattro o cinque animali, alle volte con i cuccioli al seguito, che girovagano per le vie approfittando del traffico quasi inesistente a quest'ora del mattino correndo dietro a qualche raro, e veloce, gatto o stupido piccione che non spicca il volo.

Un cucciolotto, vicino al parco sul lungoporto, con alti guaiti non riesce a seguire il branco perchè il muretto è più alto di quanto le sue zampotte non riescano a farlo saltare e viene aiutato, sollevato di peso, da una spazzina di passaggio scongiurando il rischio di un altro cuccioletto, tenero e piccolo, solitario come quello che incrociamo sul piazzale di fronte al grosso supermercato mentre corre dietro a dei piccioni non troppo preoccupati.

Tutta la zona turistica, le scale "Potiomkin" e il lungoporto, sono il domino incontrastato di uno stuolo di donne donnone e donnoni che spazzano come matte i rifiuti di una notte di baldorie, sbronze e divertimento. Lavorano alacremente con scope di saggina senza manico, innovazione che evidentemente non è ancora arrivata così a est, piegate fino a terra.

Odessa si risveglia lentamente. Verso le 8.00 i possessori di quattrozzampe regolarmente collarizzati fanno la prima di molte escursioni escretizie giornaliere, i bancarellieri di souvenir appaiono nel parco verso le 9.00 e solo alle 10.00 i negozi iniziano a tirare su le serrande e accendere le luci. Per le 11.00 ci dedichiamo alle ultime spese e alle dodici puntuali come orologi svizzeri regolati da un tedesco di madre svedese e padre italiano ci presentiamo al porto per il check-in: ci comunicano che l'imbarco sarà non prima delle ore 17.00. Deve essere la paternità italiana che ci ha fregato.

Collassiamo vicino alla dogana per un po' di ore, recuperando la stanchezza accumulata in treno la scorsa notte. Passiamo la lunga attesa, oltre che a leggere e pisolare, a osservare dei turchi appena sbarcati che per più di tre ore non fanno altro che trasportare borsoni, borse, scatole e scatoloni dalla dogana all'uscita dell'edificio compiendo delle fatiche immani e mostruosamente disorganizzate. Mille le congetture: una serie di famiglie che traslocano? Dai vacanzieri che si portano dietro tutto compreso cibo per un mese? Importatori illegali delle famosissime camice turche? Trafugatori che contrabbandano tonnellate di carta igienica? Lo spettacolo si è protratto fino a tardi tra grandi discussioni, grida, conversazioni molto accorate di tutti i coinvolti.

Passiamo la frontiera in modo indolore e incolore, la nostra nave si chiama "Caledonia" e batte bandiera Georgiana (porto: Batuni). E' in perfetto stile Ucraino con l'oblò fisso che non si apre (almeno, c'è l'aria condizionata), i bagni al limite (molto inferiore) della decenza e l'assenza forzata di carta igienica. Il vero spettacolo sarà però la cena: servita alle 19.00, per cui ci becchiamo una sgridata con i fiocchi per i nostri 20 minuti di ritardo (non lo sapevamo, giuro!). La cena è a base di una coscia di pollo, riso bollito al profumo di carote e te. La sparecchiatura avviene talmente veloce che alzando la tazza del te non si trova più ne il piattino dove rimetterla ne il cucchiaino, spazzati via da troppo solerti cameriere.

Simpatici i nostri compagni di tavolo: Paul e sua moglie, una coppia di mezza età canadese di Montreal che ridono con noi della situazione. Provengono da un giro in Russia e qualche giorno in Ucraina per cui come noi si sono abituati.

I nostri compagni di cabina sono, e a farlo apposta sarebbe stato impossibile, proprio i due ragazzi tedeschi conosciuti ieri sul treno: Florian e Alina! Sarà una traversata piacevole, e il tramonto sul mar Nero, di nome e di fatto, con la costa Ucraina punteggiata di luci, il mare rosso e l'acqua calma, scura che ci consolano dalla tristezza di abbandonare un paese così interessante e assurdo come l'Ucraina. Un paese che ci ha accolto con indifferenza, trattato con curiosità, mostrandosi a noi in tutta la sua genuinità e fascino, grazie alla gentilezza e disponibilità della gente comune.