Da Yalta a Odessa

Per Simferopoli

Nuovamente in partenza: questa volta la nostra strada ci porterà ad abbandonare l'Ucraina per la Turchia. Ci aspetta un lungo e variegato viaggio, come al solito: bus per Simferopoli, treno per Odessa e nave fino a Istanbul.

Lasciare l'Ucraina è un peccato, dopo tutto il tempo passato qui, dopo esserci abituati ai costumi e al modo d'essere del posto tutto sommato ci siamo affezionati. Tuttavia il viaggio è sufficentemente lungo e catartico, 12 ore di treno e 36 di nave, per prepararci alle novità che ci aspettano.

Qualsiasi viaggio lungo in treno in Ucraina finisce per trasformarsi in una occasione conviviale in cui si condivide cibo e alcolici, e infatti nemmeno questa volta sarà diverso. I compagni viaggiatori del nostro Kupé (questa volta, biglietti gran lusso nelle carrozze a scompartimenti da quattro letti) sono una ragazzina minuta dai capelli talmente biondissimi da essere quasi bianchi e un rubicondo signore che passa il suo tempo a parlarmi in russo, incomprensibile per me, offrendomi birra calda e melone fresco.

Questa volta, grazie alla solita imperturbabile imprevedibilità ucraina siamo riusciti a convertire due ore prima della partenza i nostri posti a sedere con due cuccette kupé (se c'è kupé prendi kupé scandisce sempre un mio amico indigeno). Con gli scompartimenti a quattro posti rispetto ai nostri soliti platzekarte è tutto lusso. Compresi i finti fiori ai finestrini.

Sul treno conosciamo una coppia di ragazzi tedeschi (lei di origini ucraine) diretti a Istanbul con il nostro stesso traghetto. Florian e Alina: mangiamo qualche biscotto insieme, assieme ai pezzi di melone del nostro espansivo e rubicondo compagno di scompartimento mentre il treno giustifica i suoi 600km in dodici ore con una incredibile sequenza di inspiegabili soste nel mezzo del nulla. Chiacchieriamo, e Alina ci racconta come, vivendo a Dinipropetrosk, da piccola abbia fatto il bagno nel verdissimo e melmoso Dniepr: uscendone con la maglietta completamente ricoperta di una sostanza nera.

Ma tutto questo succede dopo, dopo che siamo arrivati a Simferopoli. Il percorso in bus da Yalta è stato nuovamente una esperienza di sopravvivenza estrema, l'autista del pulmino che si lancia in avventati sorpassi folli per superare vecchi camioncini e piccole "Lada 1200" che arrancano tra le mille curve e salite di una strada non molto panoramica: una tranquilla campagna collinare che lontanamente ricorda certe vallate toscane solo molto meno umanizzata.

Simferopoli si rivela una città diversa: un centro moderno che ricorda moltissimo una tranquilla cittadina di provincia americana con i suoi isolati squadrati gli edifici bassi e i lampioni un po' storti. Solo un po' più popolosa, circondata da sobborghi che, come al solito, cadono concretamente a pezzi tra le pile di cemento e mattoni sbriciolati agli angoli delle case basse. Visitiamo un paio di chiese ortodosse e la locale moschea. Per la strada assistiamo a un matrimonio con i violinisti e il lancio delle colombe bianche, poi puntiamo di nuovo verso la stazione non prima di uno spiacevole incidente con la montatura degli occhiali della mia bella e di aver pranzato.