Lvov

prima città Ucraina

Ieri siamo infine, dopo l'odissea in treno, giunti a Lvov dove ci ha dato il benvenuto una città affascinante nella sua allegra decadenza di palazzi antichi sporchi, le strade lastricate in pietra e le mille scritte in cirillico che ci sforziamo, strizzando gli occhi, di leggere cercando in tre, noi con il francese, di tradurre in qualcosa che abbia significato. Alcune si capiscono facilmente come "bar" e "apoteke" ma ciò non ci impedisce di farci perdere la strada in centro visto che leggere i nomi delle vie è una impresa (ma non ci succederà più in seguito). Complice anche la stanchezza del treno.

Troviamo alloggio all'hotel George, fastoso hotel in stile sovietico decadente, ed è tutto detto, dove ci offrono una doppia senza bagno a 30 euro che accettiamo subito visto che costa meno dell'ostello (l'unico in quasi tutta l'Ucraina) e ci godiamo, salendo, i ricchi tappeti un po' consumati, gli ampi specchi a ogni curva delle scale, gli altissimi soffitti e i pavimenti in legno, caldi e scricchiolanti sotto i piedi a ogni passo. Il bagno comune, e la doccia, ci fanno capire che la scelta è stata buona: più che dignitosi benché ridicoli per gli standard occidentali.

La sorpresa questa mattina per colazione: una sala riccamente affrescata dove quattro cameriere si affannano molto disorganizzate (come quasi tutto, in questo paese) intorno a meno di dieci tavoli mentree in fondo la capo cameriera presiede le operazioni colazioniere dalla sua cattedra verificando che ogni tavolo riceva le otto fette di pane, il piattino con il prosciutto formaggio e caviale, il miele, il te e le due uova in camicia regolamentari. Si arrabbia con chi entra senza mangiare nulla e, tra un po', caccerebbe pure fuori chi osa avanzare il cibo.

Diluvia, e ci siamo sganciati dal francese. Cerchiamo innanzi tutto di procurarci i biglietti del treno per Odessa questa sera e prendiamo una colossale cantonata scambiando la biglietteria ferroviaria (kassa) per un ufficio postale. Siamo quindi rimpallati tra gli sportelli: dal 13 ci mandamo al 4, dal 4 al 5 e infine dal 5 all'1, dove una signora quasi gentile, ovvero solo un po' scorbutica, interpreta la nostra scrittura su un pezzo di carta e ci vende finalmente i biglietti tanto agognati.

Passiamo il resto della giornata a girare per tute le vie del centro, per la collina e anche un po' oltre. Lvov non è una città molto grande e si girerebbe bene se la pavimentazione di tutte le strade non fosse sistematicamente divelta per lavori apparentemente infiniti, altro che Italia. Ci colpiscono i negozi dove tutte le merci esposte sono rigorosamente dietro il bancone, che ne impedisce l'accesso alle persone: occorre chiedere a una commessa che generalmente ti ignora a bella posta. Non poter prendere in mano i prodotti ci crea qualche imbarazzo anche dovuto alla lingua poco comprensibile. Comunque ce la caviamo meglio che al ristorante dove solitamente non riusciamo nemmeno a capire se ciò che c'è sul menu siano cibi o bevande. La lingua infatti è un problema, alla domanda "do you speak english" la risposta è sempre "ne, niet", anche quando non è vero.

La sera, ci imbarchiamo su un altro treno questa volta con destinazione Odessa. Quando, la mattina, abbiamo prenotato non ci hanno detto che si trattava di posti in un vagone di terza classe: il platzekarte. Immaginate un vagone cucette italiano, ma non suddiviso in scompartimenti piuttosto senza divisori e tutto aperto dentro. Sei cuccette per "blocco": quattro di traverso, come le nostre, e due per lungo dove ci sarebbe il corridoio che invece è un poco più spostato verso il centro. Occupano il vagone famiglie con i figli, coppie, gruppi di giovani che giocano a carte, silenzione e scorbutiche signore anziane. Dopo il primo approccio del tipo "non chiedere, fatti i fatti tuoi" la gente inizia a tirare fuori cibo e birra, condividendo con gli altri e chiacchierando in russo. Giusto un ragazzo della repubblica Ceca, che lui beato parla russo, riesce a comunicare se pure con difficoltà con noi. Lui ha girato con due amici tutti i carpazi a piedi dormendo nelle case dei contadini, ma i giovani della repubblica ceca sono famosi per questo tipo di viaggio molto molto low-cost.

In conclusione di giornata, Lvov è una bella città anche se nel mezzo di un enorme processo di riammodernamento è volenterosamente pronta a entrare in europa pur con le sue particolarità come le signore anziale con il velo sui capelli e il cappottino ad agosto che vendono frutta e verdura agli angoli delle strade sotto gli occhi di una polizia ovunque presente, anzi preponderamnte. Cerco di farmi passare un po' di soggezione per i negozi dove tutti i prodotti sono schierati in piccolissime confezioni e dove si può pure ocmprare i biscotti al pezzo, dove fermarsi per capire cosa sia in vendita sotto gli occhi delle commesse che sembrano pronte a interrogarti su cosa tu voglia è sulle prima inquietante. In realtà non c'è problema e nessuna commessa ti chiede nulla, forse sperando che tu vada via e non la faccia lavorare. In generale la comunicazione avviene a gesti e con tanta buona volontà da entrambe le parti. Inglese, tedesco e francese servono solo con rari turisti incontrati per caso.