Oklahoma e Arkansas

La giornata è una di quelle dal cielo incerto dai cumuli di nuvole scure sotto e bianche sopra che corrono sospinte da venti quasi perenni nelle disperate distese degli stati uniti centrali. Leggero profumo di inizio estate nell'aria, colori ravvivati dai raggi del sole un po' obliqui che rimbalzano tra le nubi.

Scelgo, al mio solito, il posto più sperduto e secondario possibile per attraversare il confine. Il Red river separa il Texas dall'Arkansas, un fiume dal fondale rosso e basso, incassato nel terreno come tutti i fiumi di questa zona dopo secoli di paziente abrasione del terreno evidentemente morbido. La linea di confine, lungo la statale del Texas n.8/statale dell'Arkansas n.41 non è segnalata da nessun cartello: evidentemente ai locali poco importa in quale stato si trovano e di stranieri qui non ne passano. Tranne me. Tuttavia la demarcazione è netta, inequivocabile: la strada diventa subito più stretta e l'asfalto cambia. La natura intorno, identica. Come a rimarcare una distinzione puramente umana tra i due stati e a smentire chiunque dica che "Dio ha voluto il Texas(o l'Arkansas) fatto così".

La statale 41 (dell'Arkansas) è una lingua d'asfalto lunga e dritta che taglia boschi fitti e verdi, campi di mais e occasionali fattorie trasudanti povertà dalle assi di legno bianco malmesse e dai trattori dall'aria un po' trasandata abbandonati ai bordi dei terreni. La prima cittadina che si incontra è Foreman. Percorrendo campi multicolori per i fiori selvatici che li infestano poco a poco le fattorie si fanno più frequenti e a un certo punto spunta una high-school e un distributore di benzina d'altri tempi con ancora le pompe stile anni sessanta e il bar-ritrovo per la gente della zona.

Foreman è presto di nuovo solo un nome su una cartina mentre la 41 inizia ad arrotolarsi su delle piccole colline che sono delle incisioni nel terreno più che delle alture vere e proprie. Sempre più immersa nei boschi la strada dimostra chiaramente come non ci sia bisogno, per esistere al mondo, di avere un senso, una ragione d'essere.

Sulle note di morbidi ritmi country, con la sensazione di essere fuori dal mondo sperduti tra un cimitero di tassi e procioni falcidiati dai pick-up dei contadini lungo la strada si arriva a De Queen, cittadina capoluogo di tutta l'area: una volta, raggiunta anche dal treno, oggi secondario centro di scarsa importanza e dimenticato dalle highway nazionali resta fondamentale centro della vita culturale ed economica della zona. La piccola biblioteca, in centro, si appoggia su un edificio a due piani diroccato di fronte a un paio di alimentari a conduzione familiare: vera rarità in tutti gli USA.

Qui decido di cambiare direzione, puntare a ovest sulla statale 70 e verso il confine con l'Oklahoma (Native Pride state) che attraverso su un'altro ponte, questa volta ben marcato da due grossi e colorati cartelli tra i quali hanno eretto un piccolo bar, di quelli che vengono chiamati honky-tonky bar, con un cartello "cold beer" fuori circondato da due o tre pick-up rossi un po' scassati di qualche indigeno che all'interno, appoggiato con i gomiti al bancone, stringe un grosso boccale di birra con una mano, l'altra penzoloni. Niente cappellone a falda larga in testa però: qui non siamo in Texas anche se il confine è vicino.

Lo stacco tra i due stati è nuovamente marcato dall'allargarsi della strada e dal miglioramento dell'asfalto. L'angolino sud-est dell'Oklahoma è moderatamente turistico, almeno per gli standard della zona, e tra i boschi fitti e i tanti piccoli corsi d'acqua si moltiplicano capanni, affitta canoe e pescatori che approfittano della domenica per cercare un po' di svago e relax. Broken Bow, paesello della stessa risma di De Queen, regge la sua economia sul legno e sulla pesca turistica: poco più di un incrocio tra due statali cerca di offrire qualche amenità alla gente di passaggio tra neogzietti tutto fare, dalle magliette al dentrifricio e cocacola, e un paio di distributori di benzina affollati di barche al traino e pick-up carichi di attrezzatura da campeggio.

La mia strada riparte da Broken Bow lungo la statale n.3 dell'Oklahoma per inoltrarsi salendo leggermente in una terra dove non si vede anima viva e dove le strade, incredibile per un paese occidentale civilizzato, sono ancora quasi tutte sterrate. Mi godo la guida, caso raro in questo continente dal cambio automatico e le strade sempre dritte, lungo un percorso veloce e sportivo al punto giusto. Dopo una svolta sbagliata all'improvviso l'asfalto finisce e mi ritrovo in un labirinto di piste in terra rossa battuta: capisco che è ora di puntare verso luoghi più civilizzati, rientrare in Texas e infine Greenville.

Attraverso di nuovo il confine con il Texas poco distante da Parigi. Paris, Texas, è una di quelle cittadine di provincia americane che esaltano magnificandolo lo squallore di una provincia insignificante e talmente desolata da chiedersi sinceramente cosa facciamo e come possano viverci, i locali. La piazza centrale di Paris, chiaramente in vena di presunzione, sfoggia addirittura una fontana. La locale, oggi abbandonata, stazione ferroviaria offre alcuni vecchi vagoni merci abbandonati sui binari piedi d'erba e l'insegna "Paris" in cima: nemmeno per un istante l'occhio si fa ingannare, non si mette alla ricerca della punta della torre Eiffel ne del bell'atrio della Gare De Lyon...