Uffici americani

Dilbert rulez

Gli americani sanno essere incredibilmente organizzati ed efficenti nel lavoro: in quattro e quattro sei, nemmeno otto, i nostri ospiti hanno infatti allestito una vasta area di una palazzina della loro azienda per contenere una piccola mandria di alienati italiani.

Immaginiamo un grosso stanzone rettangolare, ma grosso; trasformiamolo in un labirinto usando mezze pareti finte a delimitare corridoi squadrati ma contorti e cubicoli dove la gente può facilmente affondare e nascondersi; inondiamo il tutto con una aria condizionata sufficente a mantenere in buona forma anche le peggiori cariatidi ultrapensionabili che, poveri loro, ancora si aggirano con fare silenzioso per gli spazi dell'azienda sperando che nessuno si accorga della loro presenza, visto che se dovessero andare in pensione non guadagnerebbero più abbastanza per garantirsi l'assicurazione medica e la dentiera.

Se la faccia e la pettinatura non fossero già sufficenti a distinguere gli impiegati americani da quelli italiani che si aggirano tra i meandri dell'area basterebbero i maglioni indossati da questi ultimi per sopravvivere al gelo polare che contrastano nettamente con le magliette e le camice a maniche corte perennemente indossate da dei grossi americani che, non fosse per il giro vita, dovrebbero essere imparentati con i pinguini. Credo che gli USA siano l'unico paese al mondo dove si spendono più soldi per raffreddare gli ambienti che per scaldarli. Parentesi a parte, gli assembramenti di italiani invece si riconoscono per almeno due caratteristiche significative: innanzi tutto fanno un sacco di chiasso chiacchierando scherzando e discutendo rigorosamente a voce alta. Ah gli asembramenti di americani non ci sono proprio, ciascuno per proprio conto nel proprio cubicolo.

Ai quattro angoli dell'area ci sono un paio di sale riunioni ben dotate e una cucina che farebbe invidia come dimensione a un piccolo appartamento di qualche grande città italiana. Gli americani, gentili, hanno pensato bene di rifornirla con tutti beni di prima necessità per rinfrancarci in previsione di passare lunghe nottate in loco: casse di patatine fritte, pacchi e pacchi di barrette energetiche, un metro di lattine di cocacola dietcoke drpepper sprite, quattro strati di bottigliette di liquido bianco-trasparente, un sacco da ventidue chili di popcorn in fasce e una macchina per trasformarlo rapidamente in bocciuoli bianchi e morbidi ben maturi. In un angolo, inquitante ma chiaro presagio di ciò che ci aspetta, due barattoli grossi come ananas pieni di aspirine. C'è anche un frigo pieno di cartoni di succhi di frutti anormali e yoghurt parcheggiati li a intiepidirsi prima di pranzo: se fossero lasciati esposti all'aria probabilmente congelerebbero.

Silenziosamente e quasi furtivamente tutti i vari cubicoli si stanno riempiendo. Giorno dopo giorno c'è sempre qualche faccia nuova che spunta da dietro una colonna per infilarsi velocemente in qualche spazio confinato. I nuovi si riconoscono subito: hanno una certa aria di smarrimento e confusione dovuta all'ambiente che tra aria artificiale, luce artificiale e probabilmente anche campo magnetico artificiale rende vana qualsiasi tecnica di orientamento che la nostra specie possa aver sviluppato nel corso dei millenni.

Da un momento all'altro mi aspetto di vedere spuntare Dilbert da dietro un angolo del labirinto.