Arrivo in Texas

squallore

Il Texas è quella terra vasta, piatta, forse desertica e desolata ma sicuramente ispiratrice di libertà, immensità da coprire a cavallo a contatto con la natura e omoni grandi e grossi dal cappello a falda larga lo sputazzo pronto e la sigaretta all'angolo della bocca.

Questo penso, mentre imbottigliato a passo d'uomo lungo la tangenziale di Dallas (la I-365) impiego più di un ora per percorrere poco meno di venti miglia (32km). Per il resto, intorno a me solo raccordi autostradali depositi e magazzini, l'occasionale motel economico per viaggiatori sbandati e camionisti.

Questi sono gli stati uniti, baby, posso dire con sicurezza che non mi mancavano molto. La periferia urbana degli USA sa essere periferia in maniera professionale: persino più squallida della periferia più borgatara di una grande città italiana. Strisce di asfalto mica sempre ben tenute intervallate da distributori di benzina, motel 6, Super 8 e villettine a schiera dove ogni sera potresti tornare in una casa diversa, tanto son tutte ugualmente squallide fuori e deprimenti dentro, complete delle loro sfigate storie umane.

Poi quando arriva la vera civiltà spunta un enorme Wall-Mart, l'incrocio diventa importante e grosso, e il bovaro con il pick-up arrugginito parcheggia a fianco del SUV nuovo fiammante del rampante giovane qurantenne in carriera che è stato solo ieri licenziato dall'ennesima azienda fallita.

Che ottimismo, eh, che questo Texas infonde al viaggiatore che vi giunge dalla cara Europa dopo una dozzina di ore di volo chiuso in una salsiccia cava con le ali, rimpinzato di piatti degni di un astronauta con problemi di stomaco, rimbecillito dal rombo costante dei motori per così tante ore.

Buona notte.