Tra ciclabili e ciclamini

L'ultimo hobby del Comune di Torino è quello di inventarsi sputacchi dipiste ciclabili accuratamente studiate per iniziare nel nulla e finire, per non sbagliarsi, nel nulla. Misteriose tracce di asfalto rosso decorate da doppi cerchi e un omino stilizzato in mezzo che partono come sorprese da un incrocio e spariscono nel limbo della città più vivibile e ipotetica che Torino sta cercando di diventare qualche isolato più oltre. Ci sono quelle belle e ordinate, come su corso Francia, e quelle nascoste accuratamente come quella al centro di corso Vittorio. Ci sono quelle rifatte da poco, finalmente rialzate, come quelle in centro (via Bertola) e quelle potenziali ancora nella penna di consiglieri comunali e sindaco ai quali, a dire il vero, bisogna riconoscere il merito del buon lavoro fatto fin'ora. Peccato però che sembri più un tratteggio lungo tutto il tessuto cittadino che una rete studiata. In ogni caso bisogna elogiare chi ha il coraggio di mettere mano alle nostre città per renderle più vivibili, più a misura d'uomo e meno di automobile, oggetto che in città meno si usa meglio si sta tra parcheggi al contagocce, ingorghi a profusione, inquinamento e "cara benzina ti scrivo..."

Questo sabato abbiamo deciso, dopo una comoda sveglia di recupero sonno, di dedicare la giornata ai parchi cittadini un po' più lontani dai nostri soliti intorno a casa. Così tra un tratteggio ciclabile e un incrocio rotondo abbiamo attraversato il centro e puntato con i nostri fedeli cavalli moderni di metallo alla riscossa della mobilità cittadina perduta.

Prima un piccolo ma curato parchetto intorno a una villa dove nonni e nipotini trascorrono un ordinato sabato pomeriggio, poi il più ampio e fruibile parco, il cui nome preferisco tacere, poco lontano. In quest'ultimo, dalle dimensioni sufficentemente generose da essere godibile sulla sella di una bici abbiamo avuto la graditissima sopresa di scoprire che i nostri concittadini hanno perso talmente tanto il contatto con la natura che letteralmente chili di more belle mature pendono a un braccio dal sentiero sui rovi che circondano un laghetto senza che nessuno dei passanti le abbia ancora raccolte ne segua il nostro esempio ma anzi ci squadri come strani matti destinati a morire presto di qualche innominabile malattia. Al massimo, rischiamo l'indigestione.

Così, in piedi sullo steccato o direttamente scavalcato quest'ultimo impedimento ci siamo dati a man bassa a macchiarci mani e lingua di nero litigando con le paperelle alla ricerca di qualche boccata di fresco sutto l'ombra degli alberi, anche loro vittime dell'estate afosa.

Durante le nostre peregrinazioni ciclabili nel parco, ora è chiaro perchè innominato per evitare concorrenza, ci imbattiamo in numerosi bipedi appartenenti alla categoria degli spettacoli osceni: ridicoli tanghini (maschili) neri che incorniciano corpi abbronzatissimi ma cadenti, glabri vigorosi pettorali distesi al pallido, ma caldo, sole padano per integrare un po' di dopaggio naturale agli ormoni artificiali, signore di quelle di cui non si immagina nemmeno un periodo più florido nella loro ormai più che passata, ma non consapevolmente, giovinezza alla ricerca di angoli grosso modo appartati dove intercettare raggi di sole ma non commenti brucianti.

Finiamo distesi su un prato a socializzare con le formichine che ci camminano sulle gambe, rilassandoci con lo spettacolo mai fermo e mai uguale di un cielo a pecorelle che, pacifiche, si raggrumano e spariscono tra l'azzurro e il bianco. Le formiche in effetti sono simpatiche e la loro compagnia non è troppo invadente così passerà un po' di tempo prima di sellare nuovamente i destrieri e puntare su un rifocillamento a granite, di quelle buone siciliane che si trovano anche qui nel profondo nord.