Sabato a Nervi

mare e treni

Un bel treno vuoto all'alba lanciato a tutta velocità attraverso la campagna deserta: alberi, torrenti e casolari bianchi con il tetto rossastro che sfreciano dal finestrino giusto il tempo di uno sguardo. Tutto questo, almeno, con un po' di fantasia potrebbe prendere il posto della realtà: un fatiscente convoglio diretto con i sedili malridotti, sporchi e stracciati, che procede a passo d'uomo tra una fermata minore e una inesistente inventandosi stazioni, probabilmente per avere una scusa e tirare il fiato. Fuori, attraverso finestrini nebbiosi più per il sudicio che per noti fenomeni atmosferici, scorre la solita padana piatta a perdita d'occhio e i binari sempre dritti si perdono all'orizzonte. I paeselli si fanno ora più radi ora più frequenti a seconda di quanto ci si allontana o avvicina da qualche centro principale, di quelli dai nomi corti e veloci, sparati per aria in quattro lettere o più lunghi che si trascinano su una tripletta di consonanti dopo la rapida fuga sibilante di una doppia esse.

Il treno in questione non è nemmeno vuoto anzi si potrebbe definire mezzo pieno secondo quanto ultimamente le ferrovie ci hanno abituato: i corridoi e gli spazi tra le carrozze, infatti, sono ancora transitabili. A essere sinceri non è nemmeno l'alba, ma almeno qui la fantasia non si discosta di troppe ore della realtà, e comunque siamo fiduciosi che su due ore di tragitto il treno non possa fare più di un'ora di ritardo (non è, infatti, un intercity).

Così, dopo la sorpresa del treno che finisce la corsa una stazione prima del previsto e l'attesa che il treno successivo accumulasse quei dieci minuti almeno di ritardo senza i quali non ci saremmo sentiti in Italia, siamo sbarcati a Genova Nervi, assieme a tanti altri fuggitivi speranzosi bagnanti con alle spalle un vissuto di asfalto e afa e di fronte la prospettiva di una giornata passata tra sederi a mollo nell'acqua e mani unte di focaccia genovese, di quella buona.

Rapidamente raggiunti tutti e due gli obiettivi sguazziamo felici, non prima di essermi fatto spalmare la schieda di crema antiustione da dolci carezze, in un mare azzurro e setoso. Troviamo il nostro approdo per la giornata su uno scoglio privato a Bogliasco, grazie alla disponibilità della padrona che ce ne ha concesso l'usufrutto di un angolo e di un po' d'ombra per gli zaini. A metà giornata gli altri occupanti dello scoglio si possono numerare in tre: la signora copiosamente abbondante provolosamente accumulata sullo spigolo, l'affascinante cinquantenne mostrante un assai provocante, per la sua età certo non per il suo fisico, costumino alla filo interdentale fatto per contenere (poco) forme che forse trent'anni fa sarebbero state accettabili, per ultima una balenottera non azzurra ma fucsia in tono costume e asciugamano. Il Venerdi, Donna e una terza rivista non ben identificata localizzano politicamente il terzetto amalgamato sotto il sole. Momenti di panico mi hanno colto quando la Sofia Loren mancata attenta un top-less per fortuna senza il coraggio di volgere la pancia all'aria, per fortuna di top-less ce ne sono di decisamente più accattivanti in zona, anzi forse è proprio il timore del confronto a tenere a bada la signora.

Saranno il caldo e il sole a farci fuggire verso un gelato meritato e un secondo appostamento su un diverso scoglio, più vicino alla stazione del treno e al nostro rientro nella grigia Torino, verso afa e calura; perlomeno senza la refrigerante speranza del mare a distanza di tuffo.