Ascensione al Viso Mozzo

volete una caramella?

Volete una caramella? L'intercalare di questa giornata assolata, in pianura, apre l'escursione fino dal momento in cui lasciamo l'auto: una gloriosa Golf più vecchia di tutti noi che alla guida del nostro loquace sherpa pinese ci ha portato dalla sonnolenta Torino di un sabato mattina fino alle pendici della montagna più imponente dell'arco alpino che isola l'Italia dal resto d'Europa, con buona pace di chi ritiene inutili le linee di comunicazione internazionali.

La giornata, calda e appiccicosa in pianura con massime previste sui 36 gradi e scarse speranze di sollievo per i chi, aihlui, è impossibilitato a muoversi per noi si prevede invece coperta e foschiosa per via di quelle fastidiose perenni nuvole che non trovano di meglio che incastrarsi sul mon Viso a dar fastidio agli alpinisti, in maggioranza francesi, che ne calpestano i sentieri e battono le pietre.

Volete una caramella? La nostra inarrestabile battipista accetta subito e pesca una delizia al pompelmo rosa, unico gusto ancora disponibile in abbondante quantità causa sua scarsa appetibilità nei palati di altri passati scarpinatori o chissà forse anche venete studentesse lavoratrici. Partiamo coraggiosi di buon passo risalendo le sacre fonti del Po, dove solo pochi anni fa pagani leghisti, oggi riportati sulla retta via da radici cristiane misteriosamente ritrovate in campagna elettorale, si sbizzarrivano in riti presunti celtici.

La salita ci porta a costeggiare e superare due laghetti alpini, il Fiorenza e il Superiore quest'ultimo menomato anni fa da una brutta frana del ghiacciaio nord del Viso, poi per morene e pietraie fino a che non siamo in vista del rifugio Q. Sella. Lungo la via le nuvole e la foschia ci passano intorno regalandoci visioni impressionanti delle imponenti pareti di roccia e neve intorno a noi; la morena ci guida tra grosse lingue di neve che probabilmente sopravviveranno buona parte dell'estate e pietraie sotto cui si sente gorgogliare acque di scioglimento. Lungo la strada parecchia gente, bonjour è il saluto più comune, poche le scarpe da ginnastica che osano avventurarsi oltre i 2500 metri di quota.

Al bivio, (volete una caramella?) lasciamo la pista comoda e segnata per imboccare il ripidissimo e franoso sentiero tracciato di rosso e bianco che di porta a risalire bruscamente gli ultimi cinquecento metri di dislivello fino alla nostra meta finale. In testa, come sempre, l'inarrestabile battipista e in coda il nostro loquace sherpa: l'occasionale camoscio di passaggio potrebbe giudicare il ritrmo del nostro passo dalle chiacchiere, più si fa ripida la salita più si riducono le parole. Non tutti reggono però il passo e nei pezzi più ripidi le pause si fanno più frequenti soprattutto per colpa dello stile di vita americano, Texano in particolare.

Insensibili alle foschie minacciose e con grande sprezzo della fatica i nostri gloriosi giungono infine in cima, fino alla ragguardevole altitudine di 3017 metri. Quota più che decorosa e degna del maggiore rispetto se non ci fosse alle nostre spalle un colosso di roccia e ghiaccio che ci sovrasta per quasi altri mille metri facendoci sentire piccoli nanetti al suo cospetto. Volete una caramella? Quelle al pompelmo rosa vanno per la maggiore, soprattutto presso la nostra battipista inarrestabile, il resto della comunità ringrazia. Lo sherpa si guadagna il titolo tirando fuori dallo zaino provviste per giorni interi, attirandosi la definizione di supermercato alpino e i commenti di una coppia che condivide con noi la cima. Da notare, questa coppia, per l'uso smodato del GPS "hei guarda, all'andata qui siamo passati quasi due metri più in la!" e per la lentezza incredibile: il nostro impavido terzetto gli ha infatti superati salendo la cima, scendendola, al rifugio e pure durante il rientro alla macchina; quasi un record di sorpassi alpinistici.

Soddisfatti poi dalla meta, anche se la foschia non ci ha permesso di godere della spettacolare vista sulla pianura, riprendiamo la marcia in discesa dopo qualche foto di rito e la firma del libro di vetta. Una sosta per finire le provviste del supermercato con pieno d'acqua al rifugio e poi via di nuovo, sempre l'inarrestabile battipista prima per scavezzacollarci giù dalla morena e intorno ai laghetti verso la macchina. Dopo una curva lo sherpa tenta invano di fermare la testa della colonna trina per mostrarci un cornuto abitante montano che ci osserva, con la sua barbetta e le piccole corna da non più di cinquanta metri, con perplitudine e curiosità. Poi si allontana imperturbabile mostrandoci i quarti posteriori.

Volete una caramella? Il rientro al campo base avviene senza grossi altri avvenimenti e sempre sotto la solita foschia nebulosa che ci lascerà qualche scottatura nuova, gli ultravioletti filtrano ugualmente a 3000 metri con il cielo coperto, e voglia di caldo ben presto dimenticata causa solito clima afoso brodaglioso della pozzanghera padana.