Il funerale del congiuntivo

Dicono che il congiuntivo è morto. E' vero? Supponiamo, per assurdo, facendoun gioco di immaginazione che ci troviamo al suo funerale: al cimitero. A dire il vero, non ci deve essere molta gente perché altrimenti non è morto visto che i verbi, come i nomi propri, spariscono solo quando non c'è più nessuno che si ricorda di loro.

Al congiuntivo hanno riservato tutta una collinetta, quasi che si deve metterlo in quarantena per evitare incresciosi equivoci e imbarazzanti errori che possono poi finire con rimproveri o, peggio, tristi qualificazioni. Il congiuntivo infatti è un ospite scomodo, una barriera separatrice delle classi sociali: l'elemento che discrimina chi conta, chi è famoso e di successo, da chi invece resta un qualsiasi nessuno privo di importanza. Insomma, discrimina chi sta dietro la televisione da chi ci sta dentro. Vorrei che provate a dire un paio di congiuntivi a posto loro mentre siete nella Casa, sull'Isola o nella Fattoria: si che vediamo allora chi è il prossimo a uscire.

Non ci sono parenti al funerale del congiuntivo, perchè il condizionale non solo è sempre incerto ma a dirla tutta ha già un piede nella fossa e teme che può essere il prossimo. L'indicativo è troppo impegnato a festeggiare il suo trionfo, perché la gente non si dimenticherà mai di lui pena essere poi costretta a rifugiarsi nei sogni o nella memoria tra passato più o meno remoto a seconda della latitudine, raramente prossimo ma tanto imperfetto e un futuro sempre incerto. Imperativi ce ne sono sempre pochi, soprattutto lontani dalla campagna elettorale o dalle chiese, e gli infiniti sono un po' trasognanti, sempre con la testa tra le nuvole mai precisamente coniugati e inoltre hanno un po' l'aria da grande tragedia inglese (Essere o non Essere?) o poco politically correct primitiva ignoranza (badrone essere tanto tanto bravo).

Così al funerale del congiuntivo ci sono solo fiori, belli, rossi e profumati nella tranquilla giornata di primavera, cielo azzurro e il sole splendente. Quattro becchini si stanno rimboccando le maniche affinchè la bara viene calata nella fossa senza scossoni: non si sa mai: e se è una specie di vaso di Pandora da cui, rimosso il coperchio, ne può uscire un maestro delle elementari vecchio stampo con baffetti e abbecedario di pinocchiesca memoria? Poi bacchettate sulle dita e tutti rimandati a settembre. Roba d'altri tempi.

Il giorno che il congiuntivo è morto il paese si è accorto all'improvviso che nulla gli resta se non l'indicativo presente. Il passato svanisce nella reinterpretazione dell'oggi, dimenticato davanti alla rusticità linguistica dell'ultimo Reality Show. Anche gli oroscopi hanno smesso di dare consigli più longevi di una giornata per non rischiare il futuro. In verità si tratta di una morte annunciata e i titoli sui quotidiani non devono stupire nessuno.

Non che c'è molta gente che può accorgersene, in ogni caso.

Il giorno che il congiuntivo è morto è una bella giornata. L'eterno presente fa la fortuna di chi vende giovinezza lampadata, stiracchiata dai lifting e trapiantata in testa: le signore sono felicemente illuse di non invecchiare mai giorno dopo giorno, con ombelichi rugosi in bella mostra, e i politici gioiscono, mica solo per i capelli: a forza di oggi e oggi anche le promesse per il domani vengono dimenticate.

Sarà l'aereo, di nuovo in volo per il Texas, che mi fa un brutto effetto.