Sabato di primavera

le bancarelle e i treni

Sabato di sole, caldo, una primavera piena di ambizioni estive. Passeggiando per il centro leggo il manifesto elettorale di un partito abbastanza forte nel centrodestra: "per una Torino diversa", recitava. Ho pensato: non voglio una Torino diversa, voglio questa e la voglio ancora più colorata, viva, dinamica, piena di suoni musica vita.

Oggi è uno di quei sabati che sarebbero perfetti da godersi in due passeggiando per le strade sopraffatti dai profumi delle bancarelle gastronomiche sudati sotto il sole e rinfrescati da una brezza leggera. In centro c'è una grande kermesse di colori e profumi provenienti da mezza Europa e resto del mondo. Tra i Giardini Reali e il cortile del Maglio un fiume di persone cerca di destreggiarsi intorno a mille bancarelle che propongono ogni cosa: dal salame con il castelmagno alla bambola olandese, dal wuster Tedesco DOC alle ceramiche inglesi originali.

E' una gioia di colori, un tripudio di profumi constrastanti: una bancarella belga ha piazzato un ventilatore sul cioccolato per combattere pacificamente con la confinante bancarella di salumi tirolesi, il dolce di cento fiori odorosi copre il gusto pieno di tome stagionate sarde e effluvi di incensi ti prendono alla sprovvista da dietro le spalle; meno profumati ma non per questo meno gustose le bancarelle con i taralli e le olive pugliesi, quella con le micche lunghe due metri, siciliane.

Vispi folletti guardano la folla seduti su lune che sembrano di formaggio, appesi a dei fili sotto i tetti delle bancarelle, altri seduti sulle mensoline fanno capolino proponendo targhettine con prezzi più o meno credibili; tessuti colorari e strani, conchiglie marine, bambole preziose, oggetti in ferro battuto, fiori e piante. C'è di tutto, anche la bancarella di spezie e di frutta essiccata per saturare gli occhi con infinite tonalità di colori vivi e le narici con starnuti e aromi ora delicati ora spigolosi.

Mano a mano che il pomeriggio matura verso la sera sempre più gente invade strade stradine e corsi trascinandosi nel tranquillo passeggiare tipico del sabato pomeriggio, per incontrare conoscenti e prendere una boccata d'aria già respirata dal centinaio di persone intorno. Tra Porta Palazzo e il cortile del Maglio mi godo il colore e il mescolio di etnie intorno a me: donne velate con sporte enormi sotto braccio, uomini azzimati e barbuti, gente scura di pelle e gente bianca come appena uscita da un inverno lungo due anni, negozi con le insegne di arabo e discount molto occidentali. All'improvviso, dopo essermi buttato in una viuzza laterale, mi si apre davanti agli occhi un portone e una sfilata di vagoni vecchi. Tra loro e me un gentile guardiano si prodiga a spiegarmi che si tratta di una vecchia stazione oggi trasformata in deposito di ferrivecchi, dove un gruppo di volenterosi/volontari tutti i sabati approfittano di un pranzo insieme per restaurare quello che possono. Mi fa l'occhiolino e mi lascia passare con una sola raccomandazione: attento a non farti male.

Supero il cancello, il brusio della strada sparisce subito dietro di me mentre l'asfalto del marciapiede lascia il posto a erba verde verde e ferro di binari vecchi. Intorno a me cinque o sei file di vagoni e motrici: spesso poco più di un cumulo di ruggine e legno marcio, con poltroncine ammonticchiate dentro in qualche vagone dove si spera che non ci piova sopra dal tetto rotto. In un angolo una tettoia con tutte le tracce della buona volontà umana: attrezzi e un vagone in corso di lifting. Ci saranno una buona decina di vecchissimi vagoni merci tutti in legno, un po' di vecchie carrozze passeggeri d'altri tempi che evocano memorie di viaggi epici tra Torino e Genova (e non, come oggi, per colpa dei disservizi costanti), qualche motrice ancora a vapore con il tipico tubo di stufa e il naso proteso verso il cielo.

La pace che si respira in questa specie di cimitero ferroviario è talmente in contrasto con l'energia e il tramestio del sabato pomeriggio in città che rende questo posto nascosto quasi fuori dal mondo, imprevisto.