Una mattina invernale

tra ghiaccio e aerei

Mattina, inverno. Sole e freddo, cielo azzurro e sole caldo sotto giaccone guanti e sciarpa. Intorno me la fredda bellezza di una giornata che inizia ghiacciata, il fango duro come pietra, l'erba rigata di bianco come la testa di un nonno su una panchina di un parco, macchie di ghiaccio glassato congelano istanti di ieri prima che il sole tramontasse.

Cammino deciso per convincermi che il sole scalda mentre l'aria frizzante mi sveglia rendendomi particolarmente consapevole del mondo invernale. Intorno a me, poco lontano, una figura affusolata con le ali quattro motori jet e un grosso disco sospeso sopra la schiena come un ombrellone sulla spiaggia, davanti a me un'altra figura un po' più goffa, quattro gondole tante pale, come ippopotamo dal culo pesante dimenticato su una striscia di asfalto a dormire.

Poco più indietro di me due mosconi blu e bianchi, un terzo è già in giro per l'aria a fare chissà cosa chissà dove, con i rotori leggermente inclinati in avanti come un basco calato sulla fronte, freddi e silenziosi. Ancora più in la un cimitero di balene dove altri aerei deceduti vengono cannibalizzati per tenere in efficenza pochi sopravvissuti all'invecchiamento della tecnologia e della tecnica aeronautica. Due gondole, sei pale in tutto, quei balenotteri fasto di un'era ormai al tramonto restano come allegoria dell'Italia industriale al tramonto.

All'improvviso, una voce mi strappa dai miei pensieri: "Scusi lei!" mi fermo, mi giro e torno indietro verso la voce che mi ha chiamato, un militare alto almeno come me che incute rispetto solo dalla larghezza delle spalle. "Lo sa che non si può passare a piedi per le rampe?" faccio finta di cadere dalle nuvole, mi chiama il veicolo taxi che li ha portati fino al C-130J più vicino e così la mia passeggiata mattutina termina con una breve corsa in auto fino all'hangar 5, anche oggi.