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Oggi niente tour organizzato... piuttosto, gambe in spalla e

puntiamo a risalire il vulcano dietro Hanga Roa fino al sito cerimoniale di Orongo, detto familiarmente Oronzo l'Orango, reso famoso dal film Rapa Nui per via del rito dell'Uomo Uccello di cui avremo modo di parlare più avanti.

La giornata è ventosa, come al solito su quest'isola, mentre ci arrampichiamo sulle pendici morbide del vulcano, a volte smarrendo il sentiero, attraverso l'erba alta e gli occasionali boschetti di eucalipti. Arrivati sul bordo del cratere stentiamo a non farci trascinare via dalla forza impetuosa del vento, che ci accompagnerà per tutta la visita a Orongo, mentre ammiriamo il panorama delle pozze d'acqua dolce, piovana, raccolte sul fondo del vulcano dove, protette da secoli, sopravvivono specie vegetali di ogni tipo, comprese alcune ancora preistoriche e ormai estinte in ogni altra parte del mondo.

Sempre sfidando il vento che quasi ci impedisce di parlare accediamo al sito cerimoniale di Orongo (500 CLP a testa) che si trova a 420 metri sul livello del mare talmente a picco sulla scogliera da fare impressione persino stando ben al riparo della balaustra. Sotto di noi, 420 metri più in basso, i due piccoli "motu" resi famosi dal film Rapa Nui dove i campioni che si sfidavano per sancire quale tribù dovesse regnare sull'isola dovevano recarsi per raccogliere l'uovo delle Sule, dopo aver ridisceso i 420 metri di scogliera, affrontato a nuoto il braccio di oceano (infestato da squali) fino alle isolette, per poi ritornare indietro. Con l'uovo intatto.

Stando quassù, tra le casette in pietra basse ricostruite e i petroglifici che ancora oggi testimoniano questo antico rito, sferzati da un vento perenne fortissimo, si prova veramente un senso di ammirazione per gli indigeni che avevano il coraggio di lanciarsi in una simile, mortale, avventura.

Il sito, ben tenuto, curato e ricostruito, è spettacolare per la vista meravigliosa sull'oceano e sul cratere, per la presenza dei petroglifici che attestano con i loro disegni la realtà di questo rito quasi incredibile. Un pensiero non può non correre agli stregoni che, mica scemi, aspettavano i candidati suicidi al ritorno delle loro gesta su un simile balcone naturale.

Ci spiace abbandonare Orongo, ma è ora di superare Hanga Roa per recarci ad Ahu Tahai, il sito dell'unico mohai con gli occhi restaurati: due ovali di corallo bianco e rosso che aggiunge un'aria piuttosto inquietante alla figura di pietra. E' suggestivo sedersi vicini a osservare per una mezz'ora il cielo e il mare che scorrono intorno a noi, in questo posto così remoto della terra, vicino ad alcune delle opere più incredibili e affascinanti dell'umanità.

Se poi ci si vuole sentire nuovamente normali basta immergersi in un po' di shopping per le mille botteghe e bancarelle di Hanga Roa che vendono souvenirs di ogni genere: mohai di ogni materiali e dimensioni, magliette sculture oggettini e paccottiglia, in un intraprendente stile sud-americano che tanto più contrasta con l'inerzia e l'apatia della polinesia francese.

Solo uno jugo de frutta e l'incrocio, sul marciapiede, con un indigeno che torna a casa con la spesa fatta al supermercato a cavallo, ci separano dal campeggio e dal meritato riposo di quest'altra lunga giornata sull'isola più lontana del pianeta. ";s:5:"title";a:2:{s:5:"title";s:19:"Isola di Pasqua (3)";s:8:"subtitle";s:9:"Orongo...";}}