Ritorno a casa e impatto con l'Italia

Le differenze culturali si fanno più evidenti dopo lunghe assenze

Giorno della partenza. Ci siamo svegliati per le 6.30, abbiamo fatto una rapida colazione (comunque sia Carol che Bill sono già usciti per andare a lavorare prima di quell'ora) come al solito a base di bacon e toast imburrati. Poi dopo aver caricato l'ultima volta l'auto con le borse abbiamo ripreso a girare per le vie residenziali di Seattle alla ricerca della rampa di imbocco dell'Interstate 5 per percorrerla un ultima volta in direzione dell'aeroporto. Arrivati al Seattle-Tacoma International Airport abbiamo riconsegnato l'auto a uno svogliatissimo e frettoloso dipendente di Alamo e ci siamo incamminati con il passo il più svelto possibile a causa dei bagagli verso i check-in.

Girare per un aeroporto spesso non è semplice, e quando ci si mette anche il sonno e la fretta diventa proprio difficile. Abbiamo percorso almeno due volte il piano terra solo per trovare un ascensore che ci portasse al primo piano che abbiamo nuovamente percorso su e giù alla ricerca del check-in American Airlines, dove siamo stati sottoposti di nuovo alla solita preocedura di screening e controlli di sicurezza. Almeno rispetto alla partenza ci sono state risparimate tutte le domande stupide.

Il primo volo ci ha portato a sorvolare gli stati di Washington, Idaho, Montana e Illinois purtroppo sopra uno strato di foschia prima e nuvole poi che ha reso inutile guardare dal finestrino. La discesa su Chicago si è rivelata poco interessante e la permanenza all'aeroporto ancora meno se non per la casuale conoscenza di un uomo che fa lo stesso lavoro di sistemista windows di Francesco però presso una compagnia del Nevada, per cui hanno chiacchierato per un'oretta nello stentato inglese Franceschiano riuscendo comunque a ottenere un buon livello di comunicazione segno evidente di quanto effetto abbia avuto un mese di Stati Uniti sulla sua capacità di comprendere e farsi comprendere in tale lingua.

Penultimo volo, un altro Boeing 767 sull'oceano atlantico che atterrerà dopo sette ore di volo (tredici ore compreso il fuso) a Bruxelles nella nostra cara vecchia Europa. Manchiamo da quasi un mese. Sonno, ma la cosa più strana è la notte. Per le 18.00 (fuso di Chicago, cioè tre ore più del fuso di seattle, quindi per il nostro orologio biologico ore 15.00) tramonta il sole alle nostre spalle, e quasi magicamente solo tre ore dopo alle 21.00 circa (quindi alle 18.00 per il nostro fuso) sorge l'alba di fronte a noi! Sembra una presa in giro per chi è stanco e assonnato, la gioia di tutti gli insonni.

Bruxelles, l'aeroporto è quasi familiare nella sua architettura europea. Imbarco sull'ultimo aereo (un Avro non ben identificato) e presto saremo a Torino.

... Dove ci aspetta l'impatto con l'Italia, dopo quasi un mese. I bagagli ci mettono ore ad arrivare ai nastri, qualcuno dai nastri di consegna dei bagagli europei qualcuno arriva ai nastri di consegna extra-europei causando una confusione totale tra la gente che come noi è in attesa di recuperarli e concedersi il riposo dopo ore di viaggio. La dogana ci guarda e ci lascia passare senza nemmeno il controllo dei documenti in barba alla sicurezza e a totale differenza da tutte le dogane tramite cui siamo passati di recente dove per lo meno una ispezione di routine è stata fatta. Il cognato di Francesco ci è venuto a prendere e ha lasciato l'auto nel parcheggio dell'aeroporto: ovviamente la macchinetta per pagare è rotta e non ci consegna il biglietto (senza dirci che deve consegnare un biglietto) così ci troviamo davanti alla barra di uscita bloccati con altre decine di auto piene di persone che imprecano e bestemmiano e la responsabile del parcheggio non sa dirci nulla di meglio se non "tornate su alla macchinetta e cercate la ricevuta nel cestino vicino" peggiorando solo l'ingorgo e il casino. Non meglio sulla bretella di tangenziale dove la strada piccola, con le corsie strette e le auto follemente veloci ci fanno sentire, pultroppo, di nuovo a casa.